Ritorna ai vangeli

II dopo Natale

Abbiamo contemplato la sua gloria

04/01/2025
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Carissimi fratelli e sorelle, Fiat!

Nella nostra fantasia, nei nostri ricordi, abbiamo un'idea del Natale piuttosto legata al vangelo di Luca che leggiamo nella messa della notte: il Bambino nella stalla, i pastori, gli angeli. Questa immagine del Natale si è scolpita nella memoria insieme ai canti e agli addobbi, ci rende il cuore tenero, forse più disponibile ma lascia in noi la sensazione di una festività esteriore, un po' nostalgica, cui molto deve la coreografia di contorno. Non a caso la liturgia, nel giorno di Natale, ci fa leggere l'inizio del vangelo di Giovanni e che oggi ci è di nuovo riproposto alla nostra riflessione perché è lontano dalle classiche immagini che fanno la coreografia di questo tempo per andare «In principio».

È la stessa espressione con cui ha inizio la Bibbia. Non è una questione meramente cronologica: l'atto in cui Dio dà il via a tutta la creazione e dunque anche al tempo e alla storia, piuttosto il fondamento del tutto, perché ci dice il prima che ci fosse un principio, ossia prima del tempo stesso.

«In principio», prima della creazione del mondo, prima di ogni cosa, da sempre, esisteva il “Verbo”. Verbo è una parola arcaica, non più in uso nel linguaggio comune che oggi ha perso di significato, traduce il termine greco «Logos», che in italiano viene tradotto anche con “Parola”. Il Verbo, per Giovanni, esisteva prima che ci fosse qualsiasi inizio, prima di ogni cosa. Giovanni ci porta alle soglie della storia, fin nelle profondità di Dio.

Quando sentiamo la parola "vita" in un contesto religioso, diamo spesso una lettura spirituale e pensiamo alla vita dell'anima, alla vita eterna alle cose elevate, ma qui si parla semplicemente della vita di tutti i giorni, quella che ci fa respirare, che ci mette in relazione con gli altri. Qualsiasi sia la nostra esperienza, qualsiasi sia il modo di vivere, tutto proviene e sottostà all'opera creativa perché tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

L'affermazione sconvolgente sta proprio nella partecipazione piena e totale della quotidianità, di ciò che sembra banale, semplice, senza importanza, come in famiglia in cui si condividono i momenti importanti, le cose impegnative, i fatti solenni ma soprattutto lo svegliarsi al mattino, i pasti, la confidenza, la comunione.

Il Verbo vuole essere la nostra vita, desidera tenerla sotto il suo sguardo, sotto la sua parola, di farne una luce: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.

“Si fece carne”. In questa “parola” c'è tutta la bellezza dell'incarnazione ma anche la forza del mistero pasquale perché si dice che fin da subito che il Verbo non è accolto; l'uomo ha in testa un suo Dio, quello che ha immaginato tra fumi di incenso, bagliori d'oro e cori angelici.

Il Verbo si fece carne è espressione troppo cruda per entrare nel cuore dell'uomo, eppure risuona il grido di Adamo davanti alla donna: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2,23). Come può un Dio vestire gli stessi abiti dell'uomo, giocare come un bambino, ridere e piangere, come un uomo?

Il Verbo si fece carne per dare a noi, a ciascuno di noi, nessuno escluso, la luce della sua vita, la sovrabbondanza di grazia e di amore di Dio. Questa sua “gloria” che noi abbiamo contemplato ha la dimensione dell'amore infinito, la totalità del dono, il volto della croce pieno di grazia e di verità.

Il 22 dicembre 1903, sul rapporto tra croce e incarnazione, Gesù spiega a Luisa che nella Creazione Dio ha dato all’anima la sua immagine, nell’Incarnazione gli ha dato la sua Divinità, divinizzando l’umanità. E come nell’atto stesso in cui il Figlio di Dio si è incarnato, la Divinità nell’umanità, così in quel medesimo istante si è incarnato nella croce, sicché da che è stato concepito, Gesù è stato concepito unito con la croce. Si può dire che come la croce è stata unita con Lui nell’Incarnazione nel seno di Maria, così la croce forma altrettante sue incarnazioni nel seno delle anime, e così come forma la sua nelle anime, così la croce è l’incarnazione dell’anima in Dio, distruggendo in essa tutto ciò che dà di natura e riempiendola tanto della Divinità, da formare una specie d’incarnazione: Dio nell’anima e l’anima in Dio.  Non è unione, ma incarnazione, perché la croce s’intromette tanto nella natura, da far diventare la stessa natura: dolore e dove c’è il dolore là c’è Dio, senza poter stare separati Dio e il dolore; e la croce, formando questa specie d’incarnazione, rende l’unione più stabile e rende quasi difficile la separazione di Dio dall’anima, come è difficile separare il dolore dalla natura, mentre con l’unione facilmente può avvenire la separazione. S’intende sempre che non sono vere incarnazioni, ma similitudini d’incarnazione.

don Marco
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