Gesù viene presentato al tempio. È la prima volta che Gesù entra nel grande tempio di Erode, centro dell’esperienza spirituale d’Israele. L’offerta del primogenito a Dio prevedeva un’offerta. Per le famiglie benestanti era imposto il sacrificio di un animale grosso, mentre in caso di famiglie povere, l’offerta poteva consistere in colombi o tortore (Lv 12,1-8). Era nota l’attività commerciale intorno al tempio di Gerusalemme, ed è proprio su questa mentalità “commerciale” Gesù attaccherà e contesterà, ribadendo la santità del tempio. Non è più l’offerta di olocausti e sacrifici a caratterizzare la relazione tra Dio e l’uomo, ma la nuova offerta è il Figlio, donato una volta per sempre per la salvezza dell’umanità.
Giuseppe e Maria portano il bambino Gesù per a adempiere “la legge” mentre lo Spirito santo suscita nel cuore dell’anziano Simeone l’incontro con la santa famiglia. Il protagonista dell’azione è lo Spirito santo. In tutto il Vangelo di Luca si riflette l’azione dello Spirito santo: la potenza dello Spirito adombra Maria nell’annunciazione (Lc 1,35), fa sussultare Elisabetta nella visitazione (Lc1,41), conferma Gesù nel battesimo al Giordano (Lc 3,22), lo conduce nel deserto della prova (Lc 4,1). Lo stesso Spirito consacra il Figlio per l’evangelizzazione (Lc 4,14), dalla prima uscita pubblica a Nazareth (Lc 4,18), lo fa esultare e benedire il Padre (Lc 10,21), che lo dona a quanti lo pregano (Lc 11,13).
Per bocca di Simeone, Luca indica in Gesù bambino, presentato al Tempio, il progetto dell’Onnipotente: la rivelazione a Israele e al mondo della luce e della salvezza. Questa prima rivelazione si collega alla profezia successiva, che l’anziano sacerdote rivolge ai genitori “stupiti e meravigliati” (v.33). Dopo averli benedetti, l’anziano ha parole rivelatrici dirette a Maria: Gesù “è qui”, in quest’ora della storia del mondo, per un progetto di redenzione. Il progetto-missione consiste nella “caduta e nella resurrezione di molti in Israele”. Si tratta del ruolo profetico della missione di Cristo: egli annuncerà la Parola di salvezza per coloro che accoglieranno il dono della rivelazione e della vita. Per quanti rifiuteranno il messaggio di Dio ci saranno la caduta e la rovina.
Gesù è definito “segno di contraddizione”. Ecco la definizione più misteriosa e toccante della profezia di Simeone. Gesù sarà il profeta delle genti e “più di un profeta” (Lc 7,16): egli è il Salvatore del mondo. E Maria sarà chiamata a condividere il dono della salvezza “offrendo se stessa” nel dolore. Le parole di Simeone sono misteriosamente allusive al dramma della morte violenta del Figlio: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (v. 34). La madre è associata in modo unico al destino nel Figlio: la maternità della Vergine si compirà ai piedi della croce, nel dolore offerto per la salvezza del mondo.
Proviamo per un attimo a metterci nei panni di Maria mentre ascolta le parole profetiche di Simeone. È una parola, quella di Simeone, che riempie di preoccupazione il suo cuore, è destinata a soffrire profondamente per la morte del suo unico figlio. Maria prende coscienza del dolore che dovrà soffrire.
In un brano del 4 luglio 1899, mentre Gesù aveva rinnovato le pene della crocifissione, Luisa si trova insieme alla Madonna e sente Gesù parlare del dolore di sua madre, affermando che il suo Regno era presente nel cuore di sua Madre, e questo perché il cuore di Maria non è stato mai disturbato, nonostante era immerso nel mare immerso delle sofferenze derivate dalla Passione del suo Figlio. Il suo cuore è stato passato da parte a parte dalla spada del dolore, ma non ha ricevuto un minimo alito di turbamento, ed è questo il motivo per cui Gesù ha potuto stendere in lei il suo Regno, senza trovare alcun ostacolo, perché pur nella sofferenza in Maria regnava la pace e lì Dio poteva liberamente regnare.
Vivere nella Divina Volontà non vuol dire vivere in un mondo parallelo, dove tutto è bello e senza traccia di sofferenza, ma vivere, come ha fatto Maria, il proprio dolore unito a quello di Gesù e il tutto porta ad avere nel cuore, pur sofferente, la pace.
È la potenza del “Fiat” ad operare questo miracolo, potenza di amore capace di sostenere anche il dolore più atroce come quello di una madre che vede morire suo figlio.
In un altro brano datato 23 marzo 1923, ancora una volta Gesù descrive a Luisa cosa ha vissuto Maria quando lo ha visto morire in croce. I dolori di Maria non erano altro che i riverberi dei dolori di Gesù, che, riflettendo in lei, partecipavano tutti i dolori del Figlio e, trafiggendola, la riempivano di tale amarezza e pena, da sentirsi morire ad ogni riverbero dei suoi dolori. Ma l’amore la sosteneva e ridava vita.
Quindi non sono stati i dolori che hanno costituito Maria Regina, ma il “Fiat Onnipotente”, che intrecciava ogni suo atto e dolore e costituiva vita di ogni suo dolore. Il “Fiat” di Gesù era il primo atto che formava la spada, dandole l’intensità del dolore che voleva. Il “Fiat” di Gesù poteva mettere in quel Cuore trafitto quanti dolori voleva, aggiungere trafitture su trafitture, pene su pene, ma da parte di Maria senza l’ombra di una minima resistenza.
Ora, si chiede Gesù, quali anime potranno riflettere i riverberi dei suoi dolori e della sua stessa vita? Certamente quelle che avranno il “Fiat”. Esso assorbirà in loro i riflessi della vita divina di Gesù e Gesù stesso sarà largo nel far partecipare ciò che il suo Volere ha operato in lui.
Gesù nella sua Volontà aspetta tutte le anime, per dare loro il vero dominio e la gloria completa di ogni pena che possano soffrire. Fuori dalla Divina Volontà l’operare e il patire Gesù non lo riconosce. A volte anche il fare il bene o il patire senza che la Volontà di Dio entri in mezzo, possono essere misere schiavitù che poi degenerano in passioni, mentre solo il Volere di Dio dà il vero dominio e le vere virtù, la vera gloria da trasformare l’umano in divino.
Mamma santa, nel tuo Cuore trafitto metto tutte le mie pene,
e Tu sai come mi trafiggono il cuore.
Deh, fammi da Mamma e versa nel mio il balsamo dei tuoi dolori,
affinché subisca la tua stessa sorte,
di servirmi delle mie pene come monetine
per conquistare il regno della Divina Volontà. Amen
(Luisa Piccarreta)
Dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM del Concilio Ecumenico Vaticano II (Cap VIII, n. 57)
Questa unione della madre col figlio nell'opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui; e prima di tutto quando Maria, partendo in fretta per visitare Elisabetta, è da questa proclamata beata per la sua fede nella salvezza promessa, mentre il precursore esultava nel seno della madre (cfr. Lc 1,41-45); nella natività, poi, quando la madre di Dio mostrò lieta ai pastori e ai magi il Figlio suo primogenito, il quale non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò. Quando poi lo presentò al Signore nel tempio con l'offerta del dono proprio dei poveri, udì Simeone profetizzare che il Figlio sarebbe divenuto segno di contraddizione e che una spada avrebbe trafitto l'anima della madre, perché fossero svelati i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,34-35). Infine, dopo avere perduto il fanciullo Gesù e averlo cercato con angoscia, i suoi genitori lo trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le sue parole. E la madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo e le meditava (cfr. Lc 2,41-51).